giovedì 12 febbraio 2015

INCOERENZA EDUCATIVA: QUALI CONSEGUENZE PER IL BAMBINO?


Una delle problematiche più diffuse tra le coppie di genitori nell’educazione dei propri figli è l’incoerenza educativa.
Cosa intendo per “incoerenza educativa”?
Intendo con questa espressione la differente concezione di cosa voglia dire educare un figlio, quali regole fargli seguire, come gestire i rimproveri, i cosiddetti “capricci” e così via…
Quante volte ci è capitato di assistere, o vivere, situazioni in cui uno dei due genitori rimprovera il figlio e l’altro interviene disconfermando e screditando il coniuge? Oppure in cui ad esempio la mamma si lamenta del disordine in casa e il papà dice al figlio con aria di complicità “lasciala stare lo sai che è esagerata!”. Ammesso che la mamma possa davvero essere “esagerata” nel pretendere l’ordine da parte di un bambino, un intervento come quello del papà a cosa serve? A chi serve? All’interno di quale relazione si inserisce?
È un intervento che nulla ha a che fare con il bambino, che non riguarda lui, ma che lo utilizza in quanto strumento per mettere in valore se stessi a scapito dell’altro o per colpire l’altro. Io parlo con il bambino, screditandoti, ed in questo modo uso mio figlio come strumento per far sì che il bambino abbia di me un’immagine positiva o per dirti che non approvo il tuo comportamento, che non condivido le tue priorità. In sintesi “io mi valorizzo e muovo una critica nei tuoi confronti, ma non lo faccio direttamente, ma attraverso il nostro bambino”.
Questo tipo di comportamento, purtroppo molto più frequente di quello che si creda, se è vero che crea una complicità tra uno dei genitori ed il figlio, non aiuta di certo il bambino nel suo sviluppo e nella sua crescita. Il bambino, infatti, ha più bisogno della complicità tra i suoi genitori che della complicità tra uno dei due e lui, perché la complicità tra i due genitori, l’intesa sullo stile educativo gli dà una sicurezza, un punto di riferimento stabile, al quale contrapporsi se è il caso, facendo i capricci per esempio, ma in ogni caso non lo confonde, non lo destabilizza. Ed è questo quello che conta! Poiché un bambino destabilizzato, che non ha dei riferimenti chiari e precisi, che non capisce cosa sia giusto e cosa sbagliato, spesso manifesta questo disorientamento con comportamenti fortemente disturbanti quali iperattività, aggressività, impulsività, tutti comportamenti che mettono a dura prova gli equilibri familiari, che spesso vengono messi in atto anche nel contesto scolastico, con gli insegnanti, con i compagni, creando al bambino anche grosse difficoltà di socializzazione, di accettazione da parte degli altri.
Ma perché tante coppie non riescono ad avere un unico stile educativo?
Ricordiamoci che ogni mamma ed ogni papà sono stati figli, hanno avuto dei modelli genitoriali e dei modelli educativi che nel momento in cui divengono genitori ritornano, si rendono presenti, in maniera più o meno inconsapevole.
Ed allora avremo chi ha avuto una determinata educazione e ritiene che sia stata giusta e tende a riproporre lo stesso stile e modello, chi vi si contrappone energicamente, chi è alla ricerca di un modello altro, magari informandosi, leggendo, documentandosi.
I guai iniziano quando ci si trova su posizioni nettamente contrapposte, “si mangia seduti a tavola”, “dai ma è piccolo che ci fa se mangia in giro per casa”, “si va a letto presto”, “ma che vuoi che sia se sta alzato ancora un po’”, “non hai rispettato una regola della famiglia ed allora ti darò questa punizione”, “ma quale punizione, che esagerazione!”. Gli esempi potrebbero essere infiniti.
Verrebbe da pensare “poveri figli”! Come può un bambino orientarsi in questa confusione, come può capire cosa fare e cosa non fare, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato?
Purtroppo molte volte nelle relazioni familiari si perde di vista il vero obiettivo del creare una famiglia, cioè creare un luogo di scambi affettivi, di comunicazione, di aiuto reciproco, di sicurezza. Molte volte le famiglie si trasformano in veri e propri campi di battaglia, in cui “farsi la guerra”, in cui prevaricare l’altro, imporre il proprio modo di vivere, etc.
Queste dinamiche vengono accentuate con l’arrivo di un figlio. Ognuno dei due genitori penserà di essere nel giusto, che il proprio modo di concepire la crescita, lo sviluppo, l’educazione del bambino sia quello giusto, se l’altro è d’accordo bene, se non è d’accordo sta sbagliando.
È molto difficile mettersi in discussione, pensare che forse si stiano commettendo degli errori, che qualcosa forse vada modificata. Ma purtroppo è l’unica strategia possibile per ritrovare la serenità e per garantire ai nostri figli un luogo sicuro, un luogo protetto, uno sviluppo sereno ed armonico.
Cosa fare allora?
Innanzitutto il proprio modo di concepire la crescita e l’educazione di un figlio va discusso ancor prima che il bambino nasca, è importante anche durante la gravidanza che i due genitori si confrontino su come ognuno di loro vive questo momento, sulle proprie emozioni, sulle proprie aspettative circa la nascita del bambino, su quali saranno le regole della propria famiglia, le priorità da perseguire, etc.
Inoltre è di fondamentale importanza che qualunque screzio nasca, in seguito ad un comportamento del bambino, non venga discusso davanti al bambino, contrastandosi a vicenda, ma “in separata sede”.
Se un genitore fa un intervento e l’altro non è d’accordo in quel momento deve assecondare l’intervento dell’altro, discutendone successivamente e non alla presenza del bambino. Se un bimbo rimproverato dal papà va a rifugiarsi tra le braccia della mamma, è giusto che la mamma lo consoli e lo conforti ma allo stesso tempo non può e non deve criticare il papà che l’ha rimproverato, e viceversa naturalmente.
I bambini sono anche molto più furbi di quello che spesso pensiamo e via via che cresceranno utilizzeranno sempre più a loro vantaggio i contrasti tra i genitori per ottenere ciò che vogliono, per non rispettare le regole familiari. Sapranno benissimo come provocare il padre o la madre, farli adirare ed innescare una lite tra i due e come recita un detto popolare “tra i due litiganti il terzo gode”.
Il problema è che il “godimento” di cui si tratta non è sempre un reale vantaggio per il figlio, a lungo termine. Se non voglio studiare e faccio perdere le staffe a mia madre, a quel punto interviene mio padre e se la prende con lei perché urla sempre, e in tutto questo trambusto io non studio, qual è il vantaggio che ne ottengo? Non studiare! Certo sul momento è un bel vantaggio ma poi?
Tante volte è questo ciò che accade, ci si concentra più sulle relazioni conflittuali che sul reale compito che un genitore ha: garantire al proprio figlio le migliori condizioni possibili perché possa crescere bene e diventare un giorno un adulto capace di costruirsi la sua vita e le sue relazioni affettive.

Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta

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